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PARKINSONISMI: Parkinsonismo vascolare

A cura di: Massimiliano Todisco

Il parkinsonismo è correlato ad una serie di condizioni di varia eziologia. Oltre al parkinsonismo derivante da processi neurodegenerativi, come avviene nella malattia di Parkinson idiopatica e nei parkinsonismo atipici (ad esempio, l'atrofia multisistemica, la paralisi sopranucleare progressiva, la sindrome corticobasale e la demenza a corpi di Lewy), diverse evidenze hanno supportato la possibile genesi vascolare del parkinsonismo in alcuni soggetti. La prima descrizione di pazienti con parkinsonismo secondario ad insulti vascolari cerebrali risale al 1929, quando Critchley introdusse la categoria di “parkinsonismo arteriosclerotico”, clinicamente caratterizzato da prevalente disturbo della marcia, rigidità, ipomimia e da frequente riscontro di decadimento cognitivo, incontinenza urinaria, sintomi pseudobulbari (ad esempio, disartria, disfagia, riso e pianto spastico) e segni piramidali (ad esempio, spasticità e vivacità dei riflessi osteotendinei). L’avvento delle metodiche di neuroimaging convenzionale (come la tomografia computerizzata e la risonanza magnetica nucleare) ha permesso di studiare in vivo le sottostanti alterazioni cerebrali, di tipo prevalentemente ischemico da “malattia del piccolo vaso” (nota anche come leucoaraiosi), da pregresse lacune o da recente stroke, evidenziando uno spettro di significative lesioni nei casi con sospetto parkinsonismo vascolare, a carico della sostanza bianca sottocorticale o profonda e a livello dei nuclei della base fino al conclamato “stato cribroso”. Più recentemente, Zijlmans e collaboratori hanno introdotto dei criteri per orientare la diagnosi di parkinsonismo vascolare, basandosi su dati anatomopatologici e definendo due distinti sottotipi: il parkinsonismo vascolare ad esordio insidioso, dato dall’evidenza di parkinsonismo, sintomi bilaterali all’esordio, precoce disturbo della deambulazione con marcia a piccoli passi e precoci disfunzioni cognitive, unitamente al riscontro di segni neuroradiologici di rilevante patologia cerebrovascolare cronica; il parkinsonismo vascolare ad esordio acuto, in presenza di una stretta correlazione temporale e clinica tra asimmetria dei sintomi all’esordio e sito dell’insulto vascolare cerebrale riconducibile a stroke. Diversi meccanismi potrebbero essere implicati nella fisiopatologia del parkinsonismo vascolare, come l’incremento dell’output dei nuclei della base, la riduzione del drive talamo-corticale e la disconnessione tra le fibre talamo-corticali, l'area supplementare motoria e il cervelletto, con particolare interessamento delle connessioni e delle aree corticali preposte al controllo motorio degli arti inferiori. In studi di popolazione, è stato stimato che fino al 5% dei casi di parkinsonismo sia attribuibile a parkinsonismo vascolare, che spesso si osserva in concomitanza con demenza vascolare, mostrando un decorso “a gradini”, vale a dire con periodi di peggioramento clinico in occasione di nuovi eventi ischemici intervallati a periodi di stabilità.

Quali sono i sintomi? 

Rispetto ai pazienti affetti da malattia di Parkinson idiopatica, i soggetti con sospetto parkinsonismo vascolare tendono ad avere un’età più avanzata all’esordio dei sintomi e una maggiore prevalenza di fattori di rischio vascolare, come ipertensione arteriosa, diabete mellito, dislipidemia e tabagismo. Il parkinsonismo a predominante coinvolgimento degli arti inferiori con precoce comparsa di disturbo della marcia, l’instabilità posturale con storia di ricorrenti cadute, la rara presenza di tremore, la rapida progressione dei sintomi, la scarsa risposta alla terapia dopaminergica e la mancanza di fluttuazioni motorie o discinesie levodopa-indotte sono altre caratteristiche cliniche motorie utili nella diagnosi differenziale con la mattia di Parkinson idiopatica.

In alcuni soggetti può essere arduo distinguere il parkinsonismo vascolare dal fenotipo di malattia di Parkinson idiopatica caratterizzato da instabilità posturale e disturbo della marcia. Vale la pena ricordare che si possono osservare pazienti con parkinsonismo attribuibile sia a componente neurodegenerativa sia a patologia cerebrovascolare e che, quindi, le due eziologie possono coesistere in alcuni casi. In tali circostanze, la presenza di segni o sintomi non-motori, quali il disturbo comportamentale in sonno REM e l’iposmia, può contribuire a svelare una sovrapposta malattia di Parkinson idiopatica.

La diagnosi

La SPECT cerebrale con tracciante per il trasportare presinaptico della dopamina a livello striatale può risultare nei limiti di norma in molti pazienti con parkinsonismo vascolare, eccetto che nei casi di lesioni vascolari che interessino direttamente le connessioni nigro-striatali. In tali soggetti, si rileva solitamente una simmetrica ipocaptazione del tracciante a livello striatale. Diversamente da quanto si riscontra nella malattia di Parkinson idiopatica, la SPECT cardiaca con meta-iodo-benzil-guanidina nel parkinsonismo vascolare non mostra reperti compatibili con disfunzione post-gangliare del sistema nervoso simpatico. L’evidenza neuroradiologica di lesioni della sostanza bianca e dilatazione dei ventricoli cerebrali in soggetti con parkinsonismo a predominante interessamento della metà inferiore del corpo, incontinenza urinaria e decadimento cognitivo risulta meritevole di ulteriore approfondimento diagnostico per escludere un quadro di idrocefalo normoteso. Quest’ultima condizione patologica, che spesso rientra nella diagnosi differenziale con il parkinsonismo vascolare, necessita di un appropriato inquadramento diagnostico, volto soprattutto al possibile trattamento neurochirurgico di derivazione liquorale che esita in un significativo miglioramento clinico nella maggior parte dei pazienti con idrocefalo normoteso.
Parallelamente alle evidenze a supporto, diversi autori hanno invece fortemente criticato l’uso talora ampio e spropositato della diagnosi di parkinsonismo vascolare. Infatti, da un lato il riscontro neuroradiologico di sofferenza della sostanza bianca cerebrale risulta aspecifico, essendo frequente nella popolazione anziana con fattori di rischio vascolare ma senza evidenza di sintomi neurologici e negli stessi pazienti con malattia di Parkinson idiopatica. Dall’altro lato, la correlazione tra l’entità delle lesioni cerebrovascolari e la severità del parkinsonismo agli arti inferiori non è stata riportata in maniera incontrovertibile nel corso di vari studi. Pertanto, la pura genesi vascolare del parkinsonismo è stata attribuita solo a quei casi di parkinsonismo secondario a lesioni vascolari di siti “strategici” nelle connessioni dopaminergiche nigro-striatali, soprattutto come conseguenza di stroke a livello del mesencefalo con compromissione della sostanza nera. Peraltro, è stato osservato che la presentazione clinica dei pazienti con lesioni vascolari “strategiche” differisce dalla classica descrizione del fenotipo associato al parkinsonismo vascolare, caratterizzandosi per la presenza di un emiparkinsonismo in associazione ad emiparesi piuttosto che un parkinsonismo con interessamento degli arti inferiori bilateralmente. Inoltre, alcuni autori hanno proposto di abbandonare il concetto di parkinsonismo vascolare, non supportandone la reale esistenza come distinta entità nosologica, proponendo altre terminologie per indicare parkinsonismi a genesi neurodegenerativa con alterazioni aspecifiche della sostanza bianca cerebrale, condizioni di ipocinesia (in assenza di bradicinesia, termine relativo alla progressiva riduzione di ampiezza e velocità nel corso di movimenti ripetuti) come conseguenza di stroke bilaterali della porzione mesiale del lobo frontale oppure dello striato (con mutismo acinetico e depressione con apatia, rispettivamente), o disturbo della marcia riconducibile ad altre patologie cerebrali (come l’idrocefalo normoteso).

La terapia

Trattamenti farmacologici e non-farmacologici che minimizzino i fattori di rischio vascolare sarebbero teoricamente in grado di ridurre la prevalenza di parkinsonismo vascolare, così come un’appropriata terapia riabilitativa neuromotoria potrebbe contribuire alla gestione dei pazienti, ma ad oggi mancano sicure evidenze. Solo una minoranza di soggetti nota un miglioramento più o meno significativo dei sintomi motori in seguito all’introduzione di farmaci dopaminergici, in particolar modo nei casi di comorbidità con malattia di Parkinson idiopatica o nei pazienti con lesioni vascolari “strategiche”.
L’assenza di biomarcatori validati richiede ulteriori studi per definire la rilevanza della leucoaraiosi nel determinare un preciso quadro sindromico che includa il parkinsonismo.

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